Siccità e desertificazione nel bacino del Mediterraneo

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di Guido Di Stefano

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Da Lev Nikolaevic Tolstoj ci viene un grande insegnamento valido per tutti gli uomini: “La differenza tra le persone sta solo nel loro avere maggiore o minore accesso alla conoscenza”.

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Risorse energetiche e monetarie signoreggiano sui media dei “regimi”, in particolare: per giustificare e coprire crimini di ogni genere, commessi in danno di “tutti” per il beneficio di pochi, che si credono immortali ed eterni.

Ma qual è la vera  risorsa irrinunciabile?

L’ACQUA!

Quanti “gerarchi” e quanti esperti e scienziati dello loro corti ne parlano? Ditelo voi!

Già l’acqua, questa umile risorsa!

Nel secolo passato, quando ancora esistevano studiosi e analisti dotati contestualmente di scienza e coscienza  qualcuno profetizzò che nel terzo millennio la guerre sarebbero successe per  l’irrinunciabile bene dell’acqua, magari mascherando il tutto nelle  nebbie delle risorse energetiche e monetarie.

Qualcuno si rivolse anche al passato individuando nella carenza d’acqua (“trascurate” e prolungate siccità) la fine di popoli e nazioni di dominatori: invitti con gli uomini, soccombenti con la siccità). E hanno ricordato i biblici sette anni di abbondanza e sette di carestia “collegati” al fiume Nilo. In quell’occasione l’accorta illuminazione degli Egizi salvò anche altre genti mediorientali. E biblicamente parlando si ha notizia di scontri tra pastori per i pascoli “grassi” e non “asciutti”.

Eppure in questo terzo millennio noi Siciliani abbiamo rilanciato l’assillo più determinante di questo pianeta, in cui le risorse idriche non sono perfettamente equilibrate tra i vari popoli.

“Siccità e desertificazione nel  bacino del Mediterraneo” (paradossalmente la titolazione era in lingua francese) fu il progetto-studio trans-nazionale concepito e attuato dalla Regione Siciliana. Fu capofila la Regione Siciliana, tramite un suo Ufficio di Presidenza (sede centrale a Palermo e sezione staccata a Catania) che nel tempo è stato investito da “altisonanti” ventate di innovazione, nelle denominazioni per lo più: da Servizio Tecnico Idrografico Regionale a Ufficio Tecnico Idrografico  (come ufficio di presidenza) per confondersi poi come Osservatorio delle Acque nell’Agenzia Acqua e Rifiuti prima e ora ancora come Osservatorio delle Acque all’interno del Dipartimento acqua e rifiuti.

Fu una grande esperienza e un successo: Portogallo, Spagna, Grecia, Cipro, Basilicata, Calabria (salvo errori o dimenticanze) diedero il loro apporto costruttivo.

Brillavano per la loro assenza tutte le altre nazioni  sempre dedite (per certi versi) nel bacino del Mediterraneo al colonialismo tanto quello “vetero” quanto quello “neo”. Rumoroso è stato il silenzio di istituzioni che (massoniche, religiose o altro) dedite per vocazione e statuti al bene universale. Anche la nostra “Roma” non si è mostrata tanto interessata a escursione di un intervento di  un nostro ministro, che ci è sembrato  nei modi e nei termini poco opportuno in quel contesto internazionale: immaginate una voce che si leva imperiosa per caldeggiare un progetto di ricerca di acque potabili tra i 5.000 e i 10.000 metri di profondità (grandezza o follia?)

Abbiamo accennato anche alle guerre per l’acqua.

Più volte analisti seri hanno tentato di evidenziare che il principale ostacolo per la pace Arabo-Israeliana è proprio il controllo delle risorse delle acque, molto più che il possesso di qualche palmo di terreno in più;

poche hanno notato che si sono aggravate le dispute India-Pakistan per l’acqua (fluviale);  Iraq, Siria, Iran sono nelle tragedie e noi pensiamo al controllo del Tigri e dell’Eufrate, per cui la regione si chiamava Mesopotamia; sorge il dubbio che Gheddafi sia morto perché aveva affrancato la Libia dalla sete per quel “mare d’acqua” che era stato individuato sotto le sabbie del suo deserto; e per chiudere le guerre del centro Africa ovvero l’Africa dei grandi fiumi.

Nessuno ne parla! Eppure tra Bruxelles e Roma sono state varate Regolamenti, Direttive e Leggi che favoriscono le multinazionali dell’acqua.

Agli inizi del terzo millennio la “Società generale delle acque” (francese che già controllava l’acqua di 300.000.000 di persone)  ha  messo piede anche in Sicilia con la partecipazione alla “Sicilia acque”. Per dovere di verità serve precisare che ai tempi Madame Mitterand accompagnata dall’ex ministro del Malì Aminata Traorè porto in Sicilia la bella novella che ogni cittadino del mondo aveva diritto gratuitamente a trenta litri d’acqua al giorno. Succedesse veramente sarebbe quasi un atto di riparazione e giustizia.


Le stime della Coldiretti

 

La siccità che ha colpito la Penisola, secondo una stima di Coldiretti, ha provocato danni per quasi un miliardo di euro in agricoltura. Dai cereali ai foraggi, dagli ortaggi alla frutta, dal girasole al pomodoro, ma anche i vigneti e i pascoli per l’alimentazione degli animali, che sono sotto stress per il caldo, con un calo fino al 20% della produzione di latte. Iniziata nell’autunno del 2016, la crisi idrica è stata aggravata dalle temperature al di sopra della media stagionale e dal gran numero di turisti che hanno determinato un considerevole aumento delle esigenze di acqua potabile (La Stampa).


La situazione in Sicilia

 

Adesso vediamo qual’è la situazione delle dighe che interessano il nostro territorio sia per usi irrigui che per usi potabili. Partiamo dal lago Arancio che è quello che ha meno problemi, essendo l’unico lago interconnesso con altri laghi, in questo caso con la diga Garcia che si trova sul lato sinistro del fiume Belice. Attualmente al lago Arancio che viene utilizzato solo per usi irrigui, ci sono 22 milioni di metri cubi d’acqua, a fine dicembre del 2015 c’erano 26 milioni. Nel lago Garcia che serve sia per usi irrigui che per usi potabili ci sono, 36 milioni, un anno fa nello stesso periodo 60 milioni, quasi la metà.

Nella diga Castello che si trova nel territorio di Bivona, ci sono quasi 10 milioni di metri cubi, un anno fa 13 milioni.

Nel lago Raia di Prizzi che serve in parte per usi irrigui nel territorio del Verdura, ci sono due milioni mentre 12 mesi fa c’erano quasi 5 milioni. Nel lago Leone che si trova alle sorgenti del fiume Sosio-Verdura, tra Santo Stefano Quisquina e Castronovo, e viene utilizzato per usi potabili, ci sono 2 milioni, nel 2015 ce n’erano quasi 4 milioni. Nel lago Fanaco che si trova tra Santo Stefano Quisquina e Castronovo e serve sia per usi irrigui nella valle del Platani che potabili ci sono quasi 6 milioni, mentre un anno fa c’erano quasi 14 milioni di acqua, meno della metà.

Per comprendere la crisi idrica vi diamo l’ultimo dato prendendo come esempio il lago più grande della Sicilia che è il Pozzillo, che si trova nel territorio tra Agira e Regalbuto in provincia di Enna. Attualmente ha invasato, 5 milioni, un anno fa 38 milioni. Pensate, è un lago capace di contenere 150 milioni di metri cubi d’acqua. A maggio di quest’anno prima che iniziasse la stagione estiva c’erano 76 milioni.

Aspettiamo le piogge, altrimenti sarà crisi vera (di Michele Termine – TeleradioSciacca).


Allarme dei geologi: la siccità causa l’abbassamento delle falde idriche sotterranee

 

“La perdurante scarsezza delle precipitazioni, nella primavera appena trascorsa, ha causato un abbassamento dei livelli d’acqua in fiumi, negli invasi e nelle falde sotterranee”. Lo afferma Fabio Tortorici, Presidente della Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi. “A grande scala – continua Tortorici – stiamo assistendo a cambiamenti climatici che ci stanno portando verso una desertificazione di parte del nostro territorio, ma la siccità è un fenomeno naturale che periodicamente si ripresenta con picchi che mettono a dura prova l’uomo, le sue attività produttive e l’ambiente. Malgrado questo fenomeno si verifichi ripetutamente, non si è riusciti a mettere in campo, per tempo, misure di contrasto alla siccità.  Da decenni i geologi hanno lanciato il loro grido di allarme sulla questione ‘risorse idriche’, sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo”.

Partendo dall’elemento primario “acqua” – spiega il Presidente della Fondazione – questa andrebbe smunta dal sottosuolo in maniera razionale e cosciente, ma oggi non è possibile stabilire i reali e globali quantitativi utilizzati a causa degli innumerevoli prelievi abusivi. La conseguenza di questi sfruttamenti illegali è quella di rendere aleatorie le stime dei bilanci idrici: non si ha una misura del reale deficit irriguo e potabile. Vediamo l’effetto della scarsità d’acqua dove e quando questa viene a mancare, ma non abbiamo una misura degli eccessi e sprechi con cui questa viene sottratta dalle falde, alterandone gli equilibri.

Altro annoso problema sono le reti – sia irrigue che ad uso potabile – e gli invasi colabrodo. Numerosi Comuni italiani hanno perdite superiori al 60 per cento nelle reti acquedottistiche, ne consegue che ci vorrebbero maggiori investimenti per la realizzazione di nuove condotte.

“La risorsa idrica – prosegue Tortorici – deve essere innanzitutto risparmiata, tutelata e sfruttata con ulteriori e mirate opere di captazione (ed eventualmente trattenuta da opere artificiali), solo dopo avere stabilito quali aree del nostro territorio e in che misura sono le più carenti. In questi giorni si discute della possibile realizzazione di nuovi bacini, ma sono così necessarie nuove cattedrali nel deserto? Non sarebbe prima il caso di conoscere il problema in termini numerici e scientifici con realistici bilanci idrogeologici e poi risolverlo con interventi puntuali? I mancati introiti dai canoni demaniali, evasi dagli innumerevoli sfruttamenti abusivi, non potrebbero essere recuperati con azioni di ‘Polizia idrica’ e impiegati per contribuire alla realizzazione di nuove opere?”.

È dunque fondamentale per il geologo “ripartire dall’educazione di adulti e bambini, di cittadini comuni e amministratori, di un utilizzo attento della risorsa idrica e del rispetto del territorio. Se questo non avverrà, le nostre parole rimarranno gettate al vento e continueremo ad alternare i dibattiti tra siccità e bombe d’acqua”.

 

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